Gypo (2005) A cura di Lador
Dentro
la storia...
Ambientato nel Regno Unito, ai giorni nostri, (per l'esattezza nella Contea del Kent, a Margate, un tempo florido porto e zona di prolifici interscambi, ora zona abbastanza depressa e luogo di sbarco degli immigrati) il lungometraggio è diviso in tre sezioni ciascuna nelle quali racconta, sì, la stessa storia, ma dai tre diversi punti di vista dei protagonisti. In “HELEN” facciamo per la prima volta conoscenza con la famiglia, perno di questo racconto: la madre Helen (Pauline McLynn), da poco passati i quaranta, “nonna giovane”, suo malgrado coinvolta dalla figlia diciottenne Kelly (Tamzin Dunstone) nell'educazione della piccola Jordan (che la ragazza chiama “unwanted brat”, monella indesiderata): a dir il vero la giovane madre single si disinteressa quasi completamente della bambina, lasciandola alle cure della nonna, nonostante sia subito chiaro al pubblico che Helen faccia il turno di notte in un supermercato della catena ASDA e abbia una sola sera libera, che ha tentato di tenere per sé iscrivendosi ad un corso di scultura. Il capofamiglia, Paul (Paul McGann), lotta quotidianamente contro la cronica mancanza di soldi che lo affligge, si disinteressa platealmente della moglie (salvo poi esigere i doveri coniugali ed ottenerli con la forza); divoratore accanito delle pagine di un quotidiano locale, istigatore di pensieri oltremodo razzisti, l'uomo odia gli immigrati, da lui accusati di “invadere” l'Isola e rubare il lavoro a chi ne avrebbe il “diritto”, salvo poi spendere i pochi soldi raggranellati nel suo mestiere di tappezziere con le prostitute, probabilmente anche straniere. Kelly è senza lavoro ma, nonostante ciò, si mostra incurante della propria incapacità di garantire un supporto economico alla figlia e alla famiglia; infine, il figlio Darren (Tom Stuart) che sembra frequentare la propria casa quasi fosse un estraneo, rifiuta il lavoro che la madre gli ha trovato al supermercato, perché troppo “degradante”, e sogna una carriera sicura nell'esercito. Fin qui la situazione drammatica sembra aver comunque trovato un proprio equilibrio, sino a quando, una sera, Kelly non invita a casa Tasha (Chloe Sirene), una dolce ragazza Rom, immigrata dalla Repubblica Ceca con la madre Irina (Rula Lenska) per sfuggire dalla brutalità dei rispettivi mariti. L'impatto dell'arrivo di Tasha nella vita famigliare è esplosivo e fin da subito palpabile: la ragazza dà ad Helen tutta la gentilezza e l'attenzione che la donna da almeno 25 anni non riceveva più. Ne è un esempio la scena in cui le porta il piatto con la cena perché “altrimenti mangeranno tutto”: sullo sfondo si può notare la figlia Kelly che osserva perplessa l'azione (probabilmente l'idea di lasciare parte del pasto alla madre non l'aveva mai sfiorata in tanti anni di convivenza... Nda). Purtroppo, nel rapporto con Paul, la ragazza si vede invece costretta ad affrontare gli impeti razzisti dell'uomo, per niente contento del suo arrivo. L'infelicità di Helen è portata in superficie e finalmente esorcizzata nel confronto finale che la donna ha col marito. Nella seconda versione, “PAUL”, siamo davanti alla stessa storia, stavolta vista con gli occhi diell'uomo: scopriamo l'ambivalenza di Paul, che odia gli immigrati ma non esita ad assumere per una prestazione lavorativa giornaliera (in nero? Nda) un Iracheno, addirittura offrendogli da bere al termine del lavoro. Lo osserviamo mentre adesca una prostituta per la strada o spende il suo tempo, e i pochi soldi, giocando a freccette e bevendo birra. Nel litigio che ha con Tasha, veniamo a conoscenza che la ragazza stessa è stata una prostituta occasionale (probabilmente solo per arrivare a fine mese. Nda) e non è del tutto chiaro quanto profonda sia la relazione intercorsa tra Paul e la ragazza. Niente nel film dipanerà la questione, per cui possiamo solo arrivare a supporre che Paul conosca il “secondo lavoro” di Tasha – l'altro è quello di cameriera – grazie alla sua frequentazione delle prostitute. Le aspettative di Paul sulla propria vita sono ben riassunte nell'immagine che egli vede di se stesso: un cadavere galleggiante nelle acque del porto. Il baratro esistente tra Paul ed Helen si materializza nei suoi silenzi, negli sguardi, nella sua incapacità di comunicare con la moglie senza prenderla in giro e trova il suo superamento nella risata finale, liberatoria, che l'uomo si concede dopo aver lasciato la donna all'imbarcadero di Margate. Nella terza sezione, “TASHA”, veniamo a conoscenza dell'intera, triste vicenda della ragazza: Tasha, che si è iscritta alla scuola per parrucchiere, ma ha come sogno nel cassetto quello di fare l'interprete, vive con la madre in un caravan che il Governo Inglese ha messo loro a disposizione in un'area completamente adibita a “quartiere” per gli immigrati. Le porte e le finestre della loro casa vengono accuratamente chiuse e controllate più di una volta: la paura che i mariti tornino a riprenderle, per riportarle nella Repubblica Ceca, è superata in intensità solo dalla fervida speranza di ricevere al più presto il passaporto Inglese e, con esso, la cittadinanza. Tasha è lesbica, anche se non è mai dichiarato apertamente. A ben guardare, col senno di poi, ci rendiamo conto delle piccole pulci nelle orecchie che ci sono state fornite in più parti della sua “versione della storia”: in primis, lo sguardo affascinato e sognante che rivolge ad Helen ogni volta che la vede, dal primo incontro in poi; dichiara candidamente di “non essere interessata a cercarsi un ragazzo” e, inoltre, più di una volta, la sentiamo asserire, quasi a volersi discolpare della cosa, di essersi sposata “perché doveva farlo”, ma di “non amare” il marito, al punto da giustificarne l'assenza con un semplice: “Ho lasciato la Repubblica Ceca: ho lasciato lui.”. Ad ogni mdo, la ragazza esce allo scoperto solo al termine del film: in questo segmento, infatti, vediamo come l'interesse, prima, e l'amore, poi, di Tasha per Helen finalmente vengano a galla, anche fisicamente, e siano accettati, all'inizio non senza una certa doverosa sorpresa, poi ricambiati con genuino e libero trasporto, dalla donna più matura. Questo legame, intenso ed energizzante per entrambe, si rivelerà la forza di propulsione che permetterà a Tasha ed Irina di dare una svolta positiva alla piega tragica presa dalle loro vite nell'ultima parte della pellicola e ad Helen di fare il passo necessario per portare il tanto anelato cambiamento nella propria esistenza. Il finale, uno dei momenti più ispirati e per cui vale la pena aspettare 90 minuti, rivela tutto l'indomito spirito di abnegazione di cui gli esseri umani sono capaci quando mossi da sentimenti “alti” e, se necessario, ci rende una volta di più coscienti che l'amore è in grado di nascere anche laddove meno ci si aspetta di trovarlo e, se lasciato libero di esprimersi, vince su ogni avversità. Secondo
me...
Curiosità... * E' doveroso spendere qualche parola circa il Dogma 95: originariamente, il manifesto è stato creato e sottoscritto da quattro registi Danesi, nel 1995, con l'intento di purificare il prodotto cinematografico dall'eccessivo ricorso a costosi e spettacolari effetti speciali, modifiche in fase di post produzione e altri interventi, in modo da focalizzare l'attenzione sulla storia e sulle performances degli attori. Da allora, 84 film sono stati certificati con il Dogma e il più conosciuto tra questi è certamente il danese “FESTEN”, di Thomas Vinterberg. Un film che appartenga al Dogma dev'essere, tra le altre cose, filmato usando la luce ed i colori naturali, senza luci addizionali ed utilizzando la telecamera a mano (non la macchina da presa) senza filtri ottici aggiunti. Inoltre, non deve avere musiche o rumori aggiunti in post produzione e il regista non deve comparire tra i crediti del film... Da questo punto di vista, GYPO risponde in pieno a tutte le richieste (la “regista” non compare come tale ma come “sceneggiatrice”), spingendosi anche più in là: sebbene il Dogma non lo richieda espressamente, i dialoghi sono frutto della capacità d'improvvisazione degli attori, avendo la regista steso un canovaccio (per altro dettagliatissimo e, per sua stessa ammissione, recante i punti chiave su cui dovevano ruotare i diloghi) e lasciato che fossero gli interpreti a gestire le situazioni. Questo, in alcuni casi, ha costituito un piccolo limite, soprattutto quando gli attori mancavano dell'esperienza necessaria per sostenere interamente la scena ma, nel resto del film, è fonte di situazioni molto forti, che arrivano allo spettatore come veramente “vissute”, come se ci si trovasse di fronte non alla finzione cinematografica, bensì alla vita reale in presa diretta.
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