INTERVISTA ALL’ AUTRICE VALERIA VIGANO’ ( fonte Repubblica.it)
Un libro sulla relazione pericolosa (ma non certo rara) tra una psicoanalista e la sua paziente. Perché?
“Perché è una storia vera, intensa ma è anche fortemente simbolica. La relazione d’amore tra due donne, psicoanalista e paziente, è la quintessenza di un sentimento che porta con sé fascinazione, intesa, intimità da capogiro e, nello stesso tempo, rappresenta molto bene il gioco di potere che accompagna l’innamoramento. In modo visibile l’una sa dell’altra ciò che l’altra ignora, come la tradizione della psicoanalisi insegna. Ma colei che ignora, la paziente, trascina in una sfera vorticosa di emozioni colei che sa, in una radura meravigliosa e libera che non ha mai visto prima. La forza dell’amore tocca quindi livelli esponenziali, diventa paradigma di ciò che è chiaro e di ciò che è oscuro dentro di noi e dei vortici a cui l’essere umano può arrivare. E’ ovvio che, raggiungendo certe limpide altezze, si possa poi cadere con un fragoroso schianto. Ma mai dimenticare, perché la cicatrice che rimane di una grande ferita resta segno indelebile sul corpo, e certe epifanie nutrono ancora lo spirito. Per questo Nona, la paziente, donna ormai anziana ma indomabile che sta per perdere la memoria, consegna al suo amico-testimone il racconto di un amore che l’ha cambiata per sempre. Il libro è un percorso nella specularità: uomo e donna, madre e figlia, donna e donna, medico e paziente. Solo nella relazione ci compiamo”.
La scomparsa dell’alfabeto. Nel titolo c’è la storia?
“Nona, nel libro, è una scrittrice, anche se non scrive più. Per chi fa questo mestiere l’alfabeto e la memoria sono elementi essenziali. L’uno traduce l’altra, insieme si compongono per illuminare lo schermo della nostra vita che altrimenti rimarrebbe bianco. La concreta scomparsa dell’alfabeto, cioè l’impossibilità di nominare le cose anche più futili, il non saper più coniugare il significato, è anche la perdita della memoria del nostro passato, di tutto ciò che abbiamo vissuto. La scienza pensa, in questi anni facili e onnipotenti, di poter cancellare chimicamente le tracce della sofferenza, il male che si subisce. Ma così non saremmo nulla di ciò che siamo, diventeremmo una tabula rasa di contenuti, idee, passioni. La sconfitta è una brava maestra, è lì che impariamo davvero qualcosa di noi stessi. E’ lì che ci si accorge degli errori, dell’insensibilità. Ci si può pentire, ci si fa una coraggiosa disanima almeno. Nona questo lo sa, ammette i suoi sbagli, non è completamente innocente anche se ha subìto il dolore di un abbandono ingiusto e lo scardinamento della propria identità. Eppure, per lei, il dolore di non poter ricordare più è, se possibile, ancora più grande. Possiamo vivere senza una gamba, ma senza memoria è condurre il corpo a caso nel mondo, quel mondo che poco a poco non avrà più senso. Infatti a un certo punto Nona smette di raccontare e, richiamata alla realtà dall’ultimo affronto ricevuto dalla dottoressa Merkel, si prepara alla vendetta”.
Nona non accetta di perdere la memoria. Che cosa sopravvive al tempo?
“Al tempo, come diceva Rilke, sopravvivono le case, gli alberi. ‘Noi soli, siamo aria che si cambia’. Ma anche se scompariamo, lasciamo una piccola traccia in qualcun altro. Tutti i protagonisti del mio romanzo vogliono lasciare qualcosa di se stessi. Nona certamente l’amore assoluto, l’amico che raccoglie le sue parole, fino a farsi moralmente coinvolgere, il suo lavoro di psichiatra. La dottoressa Merkel, la psicoanalista innamorata, lascia la sua insaziabile, crudele ma voluta leggerezza. Sua figlia Margherita ci dà i tormenti dell’adolescenza anoressica. Continuamente si intrecciano le loro storie, il loro passato e il loro presente, dove si esprime un complicato e sofferto slancio vitale. Ma il verso di Rilke sottintende anche una capacità di trasformazione nell’attraversamento dell’esistenza che ha l’essere umano. Tutti i personaggi, quindi, sono intaccati dalle esperienze e mutano aspetti di sé. E anche per me, che ho scritto il romanzo in nove anni, il tempo ha attuato cambiamenti e offerto direzioni. Così ho tentato di dare a La scomparsa dell’alfabeto la realtà che volevo, qualche volta morbida, altre aspra, talvolta tenera e altre rabbiosamente ironica”. |