Un tuffo nel cuore

Di Lora Delthe

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Capitolo 1 Capitolo 2 Capitolo 3 Capitolo 4 Capitolo 5 Capitolo 6 Capitolo 7 Capitolo 8 Epilogo

- Hai ragione! Ho sbagliato! Vuoi che sparisca dalla tua vita? Dillo!
Marina era rossa in viso, Esther aveva gli occhi bassi.
Tutto era nato un po’ come un gioco, due ragazzine diventate donne che avevano condiviso l’adolescenza.
Marina, figlia più piccola di un importante produttore di vini, il conte Renato Ranieri Del Colle, nobile decaduto che con la sua volontà e la sua tenacia, aveva rimesso su un impero distrutto dalle bombe della guerra e da tutto quello che ne era susseguito.
Renato aveva altri due figli di tre anni più grandi. Erano gemelli, anche se fisicamente e caratterialmente diversi: un maschio, Giulio ed una femmina, Angelica.
Giulio era un ragazzo tenace, divertente e spigliato. Angelica era molto dolce, curiosa e molto saggia. Timida, chiusa ma molto giudiziosa. I due figli avevano, tra loro, un rapporto di amore ed odio. Non si staccavano mai, ma non perdevano occasione per punzecchiarsi e litigare.
Marina era sempre stata la figlia ribelle. Tanto intelligente e arguta, quanto indisponente e curiosa. Aveva una bellezza fuori dal comune. Bellissima anche se minuta, occhi grandi e scuri, pelle candida e capelli neri come la notte. Era lo specchio di Elena, sua madre.
Marina viveva nella casa padronale, all’interno della tenuta, insieme alla sua famiglia, alle porte di Roma. Non era cresciuta come una lady, come sua sorella Angelica, ma come un maschiaccio. Adorava le vigne del padre, amava correre nei prati, stare a contatto con la natura e gli animali. Era molto schiva e chiusa.
Era diffidente verso qualsiasi elemento estraneo alla sua vita di sempre. Solo Esther era stata capace di squarciare quel velo di solitudine, che Marina si era imposta per proteggersi dal dolore di un’altra perdita.
Vent’anni prima, quando Marina Ranieri aveva tredici anni, in un’afosa serata di Agosto, successe qualcosa che avrebbe cambiato il corso della loro vita. Forse il destino, forse la fortuna, forse solo un sogno o forse la realtà che è meglio dei sogni.
Marina stava passeggiando sull’argine di un laghetto artificiale che suo padre aveva fatto creare nella tenuta, insieme al suo fedele cagnone, un Dogue de Bordeaux di nome Zeus. Aveva la faccia arcigna ma era docilissimo e talmente svogliato da non riuscire a fare poco più di qualche metro.
La ragazza era molto affezionata a quel cane. Le era stato vicino quando a 6 anni, aveva perso la sua mamma, morta in un incidente d’auto da dove però, erano usciti miracolosamente illesi i suoi fratelli e suo padre.
Passeggiava rilassata, quando sentì un rumore tra i cespugli e Zeus cominciò a ringhiare, incontrollato. Forse una lepre, forse un uccello. Marina però vide dei capelli che si intrecciavano con le foglie.
- Ehi! Chi sei? Esci da li o vuoi che ti faccia uscire il mio cane? – Marina lo disse con voce sicura e dura, poi guardò gli occhi docili del suo cagnone e sorrise, pensando che quel grosso ammasso di peli e ciccia non avrebbe torto un capello a nessuno.
- No! Mi scusi signorina, non volevo disturbarla ma… - Dal cespuglio uscì una ragazzina alta, con i capelli castani lunghi e molto mossi, anzi precisamente spettinati. Aveva gli occhi da cerbiatto, marroni e profondi.
- Chi sei? E che ci fai nella mia proprietà?
- Sono Esther, signorina, sono Esther Bruno, la figlia del suo giardiniere, Cesare.
- Sei la figlia di Cesare? E come mai io non ti ho mai visto? E poi Cesare non è sposato e non ha figli e lo conosco bene, perché Cesare lavora da noi da prima che io nascessi… lui e mio padre si conoscono da quando erano piccoli!- Marina parlava veloce, senza riprendere fiato, usando la parola come arma di difesa.
La ragazzina dai capelli lunghi alzò gli occhi, un po’ infastidita da quella produzione abnorme di parole, sbuffò e disse secca:
- Non erano sposati e io sono cresciuta con mia madre, a Frosinone, ma da oggi mi sono trasferita qui…
- Come mai? – disse Marina non del tutto convinta dalla storia che quella ragazza le stava raccontando
- Mia madre è morta da pochi giorni…
- E perché Cesare non ci ha detto nulla? – Marina era stupita da quella notizia
- Perché i miei non avevano nessun tipo di rapporto tra loro… - abbassò gli occhi, un velo di tristezza invase lo sguardo di Esther e Marina si sentì maledettamente in colpa, poi continuò a bassa voce:
- Neanche io ho mai avuto un gran rapporto con mio padre, in tredici anni di vita, l’avrò visto si e no quattro, cinque volte! – gli occhi di Esther si illuminarono di una luce mista tra tristezza, malinconia e rabbia.
- Scusami, non lo sapevo, mi dispiace… - Marina, guardandola con quell’espressione smarrita, imbarazzata e triste, si avvicinò ad Esther con l’istinto di abbracciarla, ma si trattenne, facendole, però, un gran sorriso, poi continuò – dai! Siediti con me e Zeus, così mi racconti che ci facevi dietro a quel cespuglio… - rise, mentre Esther imbarazzata rispose:
- Non vorrei disturbarla, signorina! Mio padre mi ha detto che non devo dare fastidio e che non posso andarmene in giro per la tenuta, insomma – abbassò ancora lo sguardo, facendo dei cerchi con il piede nella terra battuta che stavano calpestando – mi ha detto che devo essere un fantasma e non devo farmi vedere da nessuno, ecco perché mi sono nascosta, quando l’ho sentita arrivare, avevo paura…
- Ma nemmeno per sogno! Questa da oggi sarà anche casa tua e per piacere, dammi del tu e chiamami con il mio nome, io sono Marina! – allungò una mano per presentarsi ed Esther le diede la sua.
Il contatto di pelle provocò nelle due ragazzine come una scossa. Si guardarono a lungo negli occhi, perdendosi l’una nello sguardo dell’altra. Da quel momento, tutto sarebbe cambiato.
- Sediamoci sul bordo, ci rinfrescheremo con l’acqua e faremo due chiacchiere, vuoi? – chiese Marina quasi balbettando.
Una sensazione strana, solitamente era schiva con le persone, specie se erano estranei. Con quella ragazza non riusciva ad essere distaccata. Desiderava condividere con lei quei momenti e forse chissà, uno sprazzo di vita.
- Certo! Ma non vorrei disturbar..TI!- rise imbarazzata sedendosi insieme alla bella ragazzina dai capelli corvini ed immergendo le gambe nel fresco laghetto – scusami, ma devo abituarmi al TU, sai Cesare mi ha detto che siete una famiglia importante, prestigiosa…
- Cesare?! Perché lo chiami per nome? – chiese Marina curiosa.
- Non riesco a chiamarlo “papà”! te l’ho detto, non ho mai avuto rapporti con lui…
- Capisco! Deve essere orribile per te in questo momento… non avevi altri parenti dove poter andare?
- No! Io e mia madre eravamo sole, lei non era italiana, era danese, si chiamava Adrian.
- Un nome bellissimo! La mia si chiamava Elena…
- Si chiamava? E’ … morta? – quasi lo chiese con lo sguardo, con la voce spezzata dall’imbarazzo.
- Si, anche io non ho più la mamma. La mia è morta in un incidente stradale quando io avevo sei anni.
- Oh! Deve essere stato orribile… - ora, la voce di Esther, era piena di compassione.
- Oh si! In quella macchina c’era tutti i membri della mia famiglia. La mamma, papà che guidava e dietro i miei fratelli, Giulio e Angelica che avevano nove anni.
- Si, mio… insomma, mi ha detto che hai un fratello ed una sorella gemelli più grandi… e loro? Cosa è successo a loro?
- Per fortuna, sono usciti illesi, cioè solo qualche graffio e qualche ammaccatura, ma per la mia mamma non c’è stato nulla da fare, è morta sul colpo. Sai, è stato un miracolo, dovevano morire tutti. Un camion di bestiame ha invaso la corsia di marcia opposta dove viaggiava la macchina di mio padre e li ha schiacciati contro il muro.
- Oh mio Dio! Deve essere stato tremendo… devi aver sofferto tanto, mi dispiace – una lacrima solcò le guance rosse di sole di Esther e Marina fu pronta ad asciugarla con un dito.
Marina era sorpresa per quella reazione di Esther.
<< Come può piangere per qualcuno che aveva appena conosciuto? >> pensò << Forse ha sofferto anche lei per la perdita della sua mamma e si è immedesimata oppure è molto sensibile! Però i suoi occhi hanno una luce particolare… che sarà?>> si chiese dubbiosa la ragazzina.
Il contatto con quella mano fresca, ad Esther provocò un brivido.
Marina si accorse del tremore di quella ragazza, sorrise, scostò la mano e poi girò il volto e perse il suo sguardo guardando l’orizzonte che le offriva un panorama fatto di alberi e sprazzi di cielo, prima di respirare a pieni polmoni e finalmente, dopo istanti interminabili, rispondere:
- Si! Ero molto legata alla mamma… - poi Zeus, per interrompere quell’attimo di tristezza infinita, cominciò a ronfare e si stiracchiò nella terra, impolverandosi ed assumendo un’espressione buffa, con tutte quelle rughe che si stendevano e il nasone ammaccato che si intrufolava nel terreno.
Quell’immagine le fece ridere ed Esther disse, scimmiottando Marina:
- “ Esci da li o vuoi che ti faccia uscire il mio cane?” – rise ancora, mentre Marina, imbarazzata, strizzò con entrambe le mani il capoccione assonnato del suo cagnone e baciandogli il tartufo impolverato disse:
- Che figura mi fai fare Zeus! Dovresti dimostrarti un po’ aggressivo! E se Esther voleva farmi del male?
Zeus per pronta risposta fece un rumorosissimo sbadiglio e si abbandonò di nuovo nella sua posizione di riposo, che poi era quella che assumeva ventitré ore su ventiquattro.
Ridendo di quel buffo cagnone, dopo averlo accarezzato sotto la pancia e ricevendo come segno di assenso e gradimento un movimento della zampa posteriore, Esther disse:
- Sei molto affezionata a Zeus, vero?
- Si! Mi ha aiutato a superare la perdita della mamma. Da quando se ne è andata, lui ha dormito con me , tutte le notti, mi fa sentire al sicuro. – poi guardò il suo cane che dormiva allegramente e russava, sorrise e disse con una voce che sembrava seria – Se qualcuno vuole farmi del male, almeno deve perdere tempo a spostarmi questo pachiderma da dosso, visto che dorme su di me! – Poi dando una pacca sul sedere del suo cane, continuò dicendo: - Vero, dormiglione? Al massimo li fai scappare perché quando russi sembri un mostro delle caverne! – rise pensando ai rumori che era capace di produrre quel cucciolone.
- Si vede che vi volete bene. Deve essere dolcissimo e molto coccolone.
- Si, Zeus è docile e buono. Ama mangiare, rotolarsi nella polvere e nel fango e poi sporcarmi le coperte per essere coccolato. E’ davvero adorabile questo pachiderma rugoso. – poi Marina continuò: - Sai? Anche la mia mamma era dolcissima, ogni sera mi metteva a letto e mi raccontava una favola. Ne aveva inventata una bellissima, si chiamava …
- Esther! – la voce dura e perentoria di Cesare Bruno le fece sussultare, si girarono di scatto e il loro sorriso si spense alla vista degli occhi arrabbiati del giardiniere:
- Io, scusami, non volevo… volevo solo rinfrescarmi un po’ con l’acqua del laghetto… - cercò di giustificarsi Esther.
Guardando l’ansia che si impadroniva della sua amica e la rabbia che traboccava dallo sguardo del giardiniere, Marina tentò di prendere in mano la situazione per tranquillizzare gli animi, dicendo:
- Cesare! Non è successo nulla di grave! Perché ti stai scaldando tanto?
- Signorina! Mi dispiace! Avevo detto a questa stupida di starsene dentro casa e non dare fastidio a nessuno, ma è peggio di sua madre!
Esther si avvicinò di scatto e lo spinse via con tutta la sua forza, gridando:
- Che ne sai tu di mia madre! Non la devi nemmeno nominare mia madre! E se sono come lei, sono orgogliosa di esserlo! – piangendo di rabbia scappò via mentre Marina era rimasta immobile.
Zeus, invece aveva alzato solo un orecchio come per ricordare a tutti della sua esistenza in vita, visto che passava le giornate ad oziare sui pavimenti.
- Cesare! Ma perché l’hai rimproverata? – aveva chiesto Marina
- Perché questo è il mio lavoro e lei deve rimanerne fuori…
- Se si rinfresca le gambe nel laghetto per te è tanto grave? Rischi il licenziamento?
- Non penso… - rispose il giardiniere con voce improvvisamente dolce e serena.
- Infatti! Perché non mi hai detto che Esther era qui?
La voce di Renato aveva sovrastato anche i rumori estivi del bosco.
- Buongiorno Conte! Io… io non volevo dare fastidio, tutto qui! – Cesare era diventato un’altra volta teso
- Dare fastidio? Solo perché tua figlia chiacchiera con Marina? Dovrebbero avere la stessa età, giusto?
- Si, Esther è più piccola di qualche mese – rispose Cesare intimidito dalla presenza del suo datore di lavoro – ma io non volevo che quella stupida avesse a che fare con sua figlia, anche perché non rimarrà a lungo qui!
- Perché, dove andrà a vivere Esther? Mi ha detto che ha solo te… - Marina quasi aggredì Cesare con lo sguardo.
- Marina!? Non ti riguarda! Sono questioni private… - Renato era perentorio, anche se molto amorevole, poi rivolgendosi a Cesare: - sappi che tua figlia è la benvenuta in casa mia, anzi se per te non è un problema vorrei che trascorresse del tempo con i miei figli. – Poi si avvicinò a Marina e le depositò un dolce bacio sui capelli:
- Come va principessa? È da tanto che girovaghi con questo poltrone? – disse sorridendo
Marina scosse la testa. Era ancora scossa per come si era comportato Cesare.
Stranamente, anche se l’aveva appena conosciuta, l’idea di non vedere più Esther la faceva stare male. Senza dire nulla, svegliò a fatica Zeus ed accarezzando i tronchi sul suo cammino rientrò silenziosamente in casa, sotto gli occhi del padre e di Cesare.
Renato guardò a lungo sua figlia e si soffermò su quel gesto. Sapeva che Marina accarezzava i tronchi quando era triste e irrequieta, quando si sentiva smarrita e con le mani cercava di ritrovare del calore umano che lei associava a sua madre e che non poteva riavere indietro.
- Mi scusi Conte… - cercò di giustificarsi Cesare, distogliendo Renato dai suoi pensieri.
- L’ultima volta che ho visto una reazione di Marina di quel tipo è stato quando Elena è morta… - sospirò e poi disse – non si è mai più arrabbiata per nulla.
Cesare s’incupì. Ogni volta che sentiva quel nome, il suo cuore si spaccava a metà. I ricordi tristi riaffiorarono nella mente. Erano come l’olio sull’acqua, impossibili da ignorare, impossibili da eliminare. Era parte della sua esistenza da anni.
- Cesare? Mi hai sentito? – chiese Renato
- Co… come? mi scusi Conte, ero distratto. Mi ha detto qualcosa? – chiese Cesare
Renato rise, tolse il borsalino bianco con la fascia nera e diede una pacca sulla spalla di Cesare.
- Ti ho detto che stasera voglio fare una cena all’aperto. Vorrei che partecipaste anche tu ed Esther, così potrà conoscere anche il resto della mia banda.
Cesare sorrise, aveva sempre ammirato il modo con cui Renato trattava i suoi dipendenti. Più che un capo era un amico, ma comunque lui si sentiva sempre a disagio.
Per questo aveva sempre saputo che la presenza di sua figlia non avrebbe creato problemi e che il Conte Ranieri non avrebbe fatto polemiche, ma si era nascosto dietro quella scusa per allontanarla da lui.
Esther era sua figlia, ma non la sentiva sua. La nascita di quella bambina gli aveva distrutto la vita e i sogni, facendolo cadere in un turbine di dolore senza fine, che a distanza di anni, ancora lo attanagliava e lo soffocava.
- La ringrazio Conte, ma non posso accettare… mi sentirei in imbarazzo, lei sa che sono chiuso e non mi piace stare con le persone… - sorrise amaramente ripensando alle sere solitarie a bere vino e mangiare pasti freddi e anonimi
- Dai!? Vecchio mio, sei un orso… perché non fai venire Esther, almeno?
- Se vuole… glielo dirò appena torno a casa… - Cesare era imbarazzato, come poteva dire alla figlia di recarsi a casa del padrone quando prima le aveva proibito di girare da sola per la tenuta?

La casa di Cesare era molto piccola. Un monolocale con un divano letto e un angolo cottura. Un bagno comodo ma senza tante pretese. Ordinata e pulita. Accanto c’era una camera buia adibita a deposito, che aveva un’entrata indipendente e non aveva il bagno. Era li che Esther avrebbe passato le sue notti insonni.
Esther aveva aperto la porta della sua camera: era spoglia, c’era solo un letto e un lucernaio che a stento le permetteva di vedere la luce.
Si distese sul letto, con le lenzuola che profumavano ancora della sua mamma. Adrian l’aveva cresciuta da sola, non le aveva mai fatto mancare niente, privandosi di tutto, pur di regalare un sorriso alla sua bambina.
Era una donna dolce e amorevole. Una mamma chioccia, innamorata di quella figlia che era venuta la mondo non desiderata, ma che aveva cresciuto con tutto l’amore possibile.
La ragazzina sentiva sulle guance le carezze amorevoli di sua madre, vedeva i suoi occhi verdi nel buio di un tramonto che ormai era arrivato in quella misera camera.
Affondò il naso nel suo cuscino, aspirando profondamente e piangendo si addormentò.

Renato entrò in casa, dicendo il suo solito:
- Ragazzi! Sono tornato… chi mi viene a dare un bacio? – urlò dal piano inferiore
Giulio e Angelica si affacciarono alla ringhiera del piano superiore, gridando in coro e scendendo i gradini di corsa:
- Arriviamo papà! – anche se ormai grandi, visto che avevano sedici anni, i ragazzi non disdegnavano mai il bacio di benvenuto al loro papà.
Benché munita di ogni confort, la casa dei Ranieri era una vecchia casa di campagna a due piani degli inizi del 900, il cui stile non era stato mutato da Elena e Renato che dicevano spesso:
“Se questa casa ha superato due grandi guerre, perché dobbiamo distruggerla noi?”
Renato ricordava il sorriso smaliziato di sua moglie, una donna magnifica, nell’aspetto e nel carattere. Rivedeva quel sorriso in Giulio, la sua curiosità per la vita in Angelica e gli occhi profondi e belli in Marina.
I suoi figli erano la parte di Elena che non l’avrebbe mai abbandonato, un regalo inaspettato e insperato che aveva rallegrato la sua vita, coronando un amore immenso e speciale.
Era molto innamorato di sua moglie e da quando era morta, aveva riversato sui suoi bambini la parte migliore di quel sentimento, sotterrando nella sua anima il dolore immenso della perdita, per non far pesare a loro anche il suo dramma.
Nel vedere la corsa dei suoi figli maggiori, Renato rise e li abbracciò con slancio e disse:
- Ehi! Ma mi volete salutare o volete uccidere il vostro vecchio papà?
- Papà! Tu non sei vecchio! – disse Angelica, quasi piccata da quell’affermazione – sei sempre il mio meraviglioso e giovanissimo papà!
- E’ vero! – sentenziò Giulio – Sai che non sono mai d’accordo con quello che dice questa qui.. ma devo darle ragione stavolta – la spinse con l’indice, provocando un gridolino da parte della sorella che rispose all’affronto con un ceffone e dicendo:
- Stupido! Mi fai male! – Giulio rise sotto gli occhi divertiti del padre che cercava di dividerli sedando sul nascere l’imminente zuffa.
Uno sbadiglio ozioso di Zeus attirò l’attenzione dei tre che giocavano in salotto. Marina si affacciò alla stessa ringhiera e disse un triste:
- Bentornato papà.
- Principessa! È così che accogli il tuo papà? Vieni giù e dammi il bacio più bello della storia! – Renato sapeva che Marina aveva sofferto tantissimo, dopo sette anni ancora soffriva.
La ragazza scese con un sorriso timido i gradini e alzandosi sulle punte, diede un bacio sulla guancia di Renato, che l’abbracciò forte e le disse in un orecchio:
- Ciao principessa!
- Ciao papà!
- Senti un po’, perché non vai a casa di Cesare ed inviti Esther per la cena di stasera?
Marina fu sorpresa, poi incupendosi disse:
- No, perché suo padre non vuole e non voglio che la tratti male come questo pomeriggio…
- Un attimo! Ma chi è Esther? – chiese Giulio
- E chi è il padre che l’ha trattata male? E che c’entra Cesare? – chiese Angelica
Marina guardò in malo modo i fratelli, odiava le domande e le persone ficcanaso. Non voleva rivelare ai fratelli la storia di Esther ma doveva rispondere, stava per farlo, quando fu Renato a sollevarla dal brutto incarico:
- Esther è la figlia tredicenne di Cesare, ha incontrato Marina al lago ed hanno fatto amicizia e Cesare non voleva che la ragazza gironzolasse da sola per la tenuta e l’ha sgridata… - poi accarezzò la testa dei due figli più grandi e concluse: - guai a voi se fate altre domande – poi ancora a Marina disse: - Cesare è d’accordo, vai ad invitare Esther…
Marina si illuminò di gioia, gridò:
- Zeus!? – il cane stranamente sveglio la sentì e la seguì fuori, dove la ragazza già aveva imboccato il vialetto che la portava da Esther.
Il sentiero che le divideva, le sembrava eterno, lo fece di corsa e quasi arrivò senza fiato. Riconobbe la sagoma del giardiniere e chiese con cortesia:
- Cesare!? Dov’è Esther?
- Oh, signorina! Sta dormendo in camera sua… - indicò l’alloggio con la testa
- Posso andare ad invitarla per stasera?
- Se a lei fa piacere…
Marina si avvicinò al giardiniere che conosceva dalla nascita e con un impulso irrefrenabile lo abbracciò, stampandogli un bacio sulla guancia.
Cesare barcollò, non tanto per la sorpresa di quell’inaspettato bacio, ma per aver sentito, per un attimo l’odore di Elena.
Con gli occhi seguì Marina che si avvicinava alla porta della camera di Esther, la vide bussare e la sentì dire:
- Esther, posso entrare?
Non udì altro, rientrò in casa e si sedette pesantemente sul divano.
Marina non sentì nessuna risposta, allora aprì la porta lentamente, piano senza fare rumore. La vide addormentata a pancia in giù, con il naso nel cuscino e i capelli scompigliati che le nascondevano il volto.
A passo leggero si avvicinò e si chinò accanto a lei. Le accarezzò la guancia con un dito, asciugando le lacrime che ancora inumidivano la pelle morbida della ragazza.
La sentì muoversi, si stava svegliando lentamente, quando Zeus, curioso come non lo era mai stato, saltò sul letto ricoprendo con il suo grosso corpo, l’esile figura d Esther che sobbalzò esclamando spaventata:
- Oh mio Dio!
Marina scoppiò a ridere ed Esther se prima era spaventata, quando vide Marina si tranquillizzò e cominciando a ridere di se stessa, prima accarezzò Zeus, dandogli un bacio sul tartufo umido ed impolverato e poi, notando che Marina continuava a contorcersi dalle risate, mentre si era seduta per terra, le diede un buffetto sulla testa e disse:
- Che hai da ridere, scema! Mi hai fatto prendere un colpo, tu con questo coso peloso!
- Scusa! – riuscì a dire Marina tra le lacrime provocate dal riso incontrollato – non volevo spaventarti…
- Se volevi farmi morire, ci sei quasi riuscita!
- Ma dai! Ero venuta per invitarti a cena da me stasera…
Esther abbassò triste lo sguardo, poi si girò dicendo:
- Hai sentito quello che ha detto… non devi frequentarmi!
- Lascialo perdere! Mio padre gli ha detto che se ci frequentiamo non c’è niente di male e lui ha accettato, così stasera vieni a cena da me e poi, quando la luna è alta ti porto al laghetto, ti faccio vedere la cosa più bella che tu abbia mai visto!

La prese per una mano e la costrinse ad alzarsi non dandole il diritto della risposta, mentre Esther pensava, perdendosi negli occhi di Marina << mai bella come i tuoi occhi!>>

 

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